Nonostante le evidenti difficoltà incontrate nel realizzare azioni che avrebbero dovuto essere svolte in presenza su 5 diverse nazioni, nonostante le restrizioni legate alla pandemia e le tensioni internazionali, i partner del progetto europeo Comm.On Heritage – Idrija 2020, Comune di Idrija, Slovenia; RCDI, territorio di Melides, Portogallo; Kean, Comune di Oropedio Lasithiou, Creta; Paola Heritage Foundation del Comune di Paola, Malta; con capofila Cooperativa L’Ovile per il territorio dell’Appennino Tosco-Emiliano – hanno portato a termine tutte le azioni previste.
È stata pubblicata una guida per Community manager, che ha voluto raccogliere riflessioni, buone pratiche e strumenti utili per chi si avvicina a questo ruolo di animazione di comunità periferiche, valorizzando il patrimonio culturale e ambientale in cui sono collocate. Sono stati implementati 4 geo Trail, sono stati realizzati 4 hackathon che hanno permesso di generare e abbozzare nuove idee di sviluppo di altrettanti territori. L’impatto del progetto sembra decisamente interessante anche dal punto di vista quantitativo:
Con questo progetto abbiamo fatto emergere nuove figure professionali con specifiche competenze (culturali, sociali, progettuali, comunicative, imprenditoriali) in grado di attivare e mobilitare le persone di una comunità a favore del proprio contesto di riferimento e del proprio patrimonio culturale. Il terzo settore è ricco di potenziali community manager che spesso non si rendono conto di esserlo. Sono persone che hanno sensibilità inclusive, che cooperano e non escludono, facilitano processi di partecipazione, lavorando con la comunità, facendo emergere i bisogni e le aspirazioni.
Il salto importante per il community manager è quello di lavorare non solo per l’attivazione della comunità, ma anche per la sua intraprendenza. Una comunità che diventa impresa è una comunità sostenibile a livello economico, sociale ed ambientale. La cooperazione è la fucina di queste professionalità. È necessario lavorare sulle soft skills dei community manager, ma anche sulla consapevolezza di esserlo. È importante che emergano queste figure sul territorio d’Appennino, che siano accompagnate e formate, sostenute anche dagli enti pubblici.
Il nostro Appennino ha bisogno di nuovi e visionari pionieri, giovani e motivati, che aprano frontiere ed immaginino insieme alle comunità degli scenari nuovi. Sono importanti gli investimenti infrastrutturali, ma ancora di più lo sono quelli sul capitale umano, sulle competenze che possano generare circoli virtuosi di sviluppo. Il community manager è una figura professionale sulla quale investire.
L’ultimo step di progetto si è tenuto proprio in Italia, con il transnational meeting che dal 6 all’8 aprile si è svolto tra Reggio Emilia e Castelnovo ne’ Monti. In questa occasione, i partner esteri hanno potuto apprezzare le eccellenze culturali, naturalistiche e gastronomiche della nostra provincia e approfondire le buone prassi che in queste terre hanno visto la luce attorno alla valorizzazione delle comunità e dei territori d’Appennino. Infine, c’è stato lo spazio per individuare possibili sviluppi futuri del progetto, all’interno di nuove proposte da portare avanti insieme. Molti sono infatti i punti in comune che i partner hanno condiviso e rafforzato durante questa prima esperienza progettuale insieme: la centralità delle comunità rurali e di periferia, l’importanza di un approccio universalistico che tenga insieme tutte le persone nel rispetto delle loro fragilità, la cultura e l’ambiente come patrimonio inestimabile e spesso non sufficientemente valorizzato che può ridare vita a territori svantaggiati, l’importanza di figure di animazione e rilancio dei territori, la voglia di dare ai Community manager del futuro una dignità e un ruolo ben riconoscibile, che renda evidente anche alle istituzioni la strategicità che questa professionalità riveste.
Da qui potremo ripartire per nuovi e interessanti progetti.