Era il 1994 forse ‘95, L’Ovile era appena nata, e un sacerdote di cui non faccio il nome, Don Daniele Simonazzi, avvicinò due psichiatri allora impegnati proprio in OPG e li provocò: ma voi siete capaci solo di dare farmaci o avete il coraggio di fare qualcosa di più per questa povera gente. I due medici di cui non farò il nome, Mauro Gozzi e Battista Giuliani, non se lo fecero ripetere. Nel giro di poche settimane era pronto il primo progetto sperimentale per favorire le dimissioni (allora assai problematiche) dall’OPG di Reggio Emilia: un progetto visionario che non solo immaginava un’area ponte tra dentro e fuori, ma che aveva l’ambizione di essere anche luogo di cura e riabilitazione. Questo per un motivo molto semplice da comprendere: perché in OPG prima di avere ladri-paranoici o assassini-schizofrenici, prima delle diverse declinazioni che può assumere l’etichetta del folle-reo in OPG abbiamo Luca, Amedeo, Flaviano, Alessandro, Elio, Roberto, Giuseppe, ecc. Non possiamo certo elencarli tutti, ma in questi 20 anni e più di lavoro sono centinaia le persone che hanno attraversato quel ponte verso il fuori, la libertà e la cura. L’Ovile è stato ed è ancora questo ponte, attraverso gli strumenti che mettiamo in campo in diversi contesti ovvero il lavoro e l’accoglienza, cercando di essere un elemento collaborativo e attivo in quella complessa rete di soggetti che si attiva intorno a queste storie. Dalla Regione al Comune, dall’ADSL, dall’amministrazione penitenziaria alla Magistratura.
D. Marchi