Un articolo del periodico di strada milanese Scarp De’ Tenis dal titolo “Giustizia che fa bene”, nell’ottobre 2021, ha raccontato alcune iniziative efficaci di quella che viene chiamata giustizia riparativa o restorative justice. Ne abbiamo già parlato qui, ma abbiamo voluto approfondire le novità della legge 134/2021 con la coordinatrice del nostro Servizio Mediazione, Caterina Pongiluppi.
Sono due, riguardano da un lato la Giustizia Riparativa, dall’altro la tipologia di sanzioni che in via “principale” possono essere irrogate dal giudice con sentenza.
Si tratta certamente di una legge importante. Tra i diversi profili di innovazione, uno tra tutti è proprio quello che conferisce alla Giustizia Riparativa un posto “ufficiale” all’interno dei percorsi della giustizia penale, cioè un posto riconosciuto dall’ordinamento in modo compiuto.
Tra i pratici e gli studiosi della giustizia riparativa, molte aspettative possono considerarsi ben riposte: la commissione incaricata di elaborare la bozza del decreto delegato, dovrà definire alcuni aspetti fondamentali nello sviluppo del paradigma della restorative justice. Su tali aspetti, finora è mancato qualunque riferimento normativo nazionale che potesse orientare non solo i programmi di giustizia riparativa da attuare, ma anche, a monte, la stessa formazione, qualificazione, e il riconoscimento dei “mediatori penali” e dei centri o uffici di mediazione penale e giustizia riparativa.
Ad oggi, il panorama dei servizi esistenti presenta una diffusione a macchia di leopardo. Il risultato è quello di una profonda disuguaglianza di opportunità, tra territori provvisti e territori sguarniti di tali uffici. Eppure, ciò che è peggio, è la presenza di una differenziazione di pratiche applicative, competenze e professionalità messe in campo, dei percorsi e dei requisiti formativi rispettati. Seppure importanti, le “Linee di indirizzo” del 2019 non sono sufficienti: sono emanate dal Dipartimento di Giustizia Minorile e di Comunità e non hanno valore vincolante, ma solo di orientamento, verso gli organi interni al dipartimento stesso (uffici di esecuzione penale esterna, centri di giustizia minorile, uffici del servizio sociale minorile).
La riforma si occupa anche del piano economico, rompendo la “tradizione” delle clausole di invarianza finanziaria e stanziando fondi che dovranno coprire attività fino ad oggi sviluppate solo grazie a bandi e progettazioni, del pubblico e del privato, sporadici e parcellizzati.
Una contaminazione potente della giustizia ordinaria ad opera della giustizia riparativa significherà lo spostamento del focus dal reo e dai suoi “bisogni” (punizione, reinserimento, rieducazione), visti in modo isolato e, spesso, esclusivo ed escludente. Si prova a porre ora l’attenzione sulla vicenda di reato nel suo complesso, vista nei suoi aspetti relazionali: un fatto che ha delle radici, delle conseguenze, dei riflessi, che coinvolgono molte persone, a partire dalla vittima o dalle vittime dirette, per allargarsi alle famiglie, ai parenti, amici, conoscenti, alla comunità di appartenenza, al territorio, alla società tutta.
Ritengo cruciale la possibilità di scontare la pena in una dimensione non radicalmente esclusiva, come quella del carcere, ma in continuità con un territorio e una comunità di appartenenza. Estendendo oltre i limiti oggi previsti le misure alternative alla detenzione, diamo spazio a percorsi riabilitativi migliori, perché purtroppo troppo spesso il carcere risulta criminogeno anziché riabilitativo, spersonalizzante e deresponsabilizzante. I numeri ce lo dicono.
Resta il problema delle persone prive di un domicilio, o di un domicilio idoneo a consentire l’esecuzione della pena sul territorio: su tale questione occorrerà convogliare le riflessioni e finanziamenti ad hoc, per assicurare un servizio che negli anni è stato del tutto discontinuo se non eccezionale. Penso ad esperienze di valore in Emilia-Romagna come il progetto ACERO, che ha consentito l’accoglienza abitativa e l’accompagnamento educativo di persone in misura alternativa alla detenzione per circa 4 anni.
Che la risposta al reato possa diventare più complessa, che prenda in considerazione autore, vittima e comunità e in cui la giustizia riparativa e la sanzione penale si integrano, a costituire programmaticamente un’occasione di ri-equilibrio e di ricostruzione.
Fonte del dato in apertura: Osservatorio sulle misure alternative del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, dati 2007, dal periodico di strada Scarp De’ Tenis, ottobre 2021, pag. 37.