Il Presidente Valerio Maramotti e il Direttore Gabriele Mariani rispondono ad alcuni quesiti riguardo le difficoltà e le sfide che il Terzo Settore dovrà affrontare nei prossimi mesi.
Il Rapporto Povertà della Caritas denuncia: nel periodo maggio-settembre 2020, l’incidenza dei “nuovi poveri” per effetto dell’emergenza COVID passa dal 31% del 2019 al 45%: quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Risultano in maggioranza (52% rispetto al 47,9% dello scorso anno) i nuclei famigliari italiani e persone in età lavorativa. In che modo la cooperazione sociale pu dare delle risposte a questo disagio?
Valerio: A Reggio Emilia i dati Caritas sono leggermente migliori, il tessuto ha tenuto. Il timore cresce pensando al termine del blocco dei licenziamenti fissato dal Governo a marzo 2021. La cooperazione sociale deve mettersi al servizio dei bisogni delle persone di questa città, soprattutto dei più fragili. Dobbiamo continuare a fare il nostro mestiere e a farlo sempre meglio. Se, come crediamo, il padrone del servizio è il bisogno, con l’aumento delle fragilità noi e le altre cooperative di inserimento lavorativo siamo chiamate a fornire nuove opportunità di lavoro. È il motivo per cui L’Ovile – e altre realtà come la nostra – è nato. Del resto, il lavoro è il mezzo con cui rispondere al sostentamento e alla dignità delle persone: diritti inalienabili dal nostro punto di vista.
Gabriele: L’aumento della povertà è stato ampiamente previsto. Tuttavia, dobbiamo ancora toccare il fondo di questo disagio economico e sociale. I dati raccontano quello che abbiamo visto in questi mesi, l’enorme difficoltà di moltissimi lavoratori e imprenditori. Eppure, non abbiamo notizie dal comparto industriale: tutto è congelato dalla cassa integrazione straordinaria e dal blocco dei licenziamenti. I numeri della fragilità saranno da monitorare attentamente nel 2021 e nel 2022. Se cade un’azienda, parte un effetto domino – non posso pagare i fornitori, non posso pagare i dipendenti ed inevitabilmente molte persone perdono il lavoro – da non sottovalutare. La cooperativa è anche un’azienda, poiché necessita di utile per finanziare i progetti di sostegno al disagio sociale. Deve prepararsi dal punto di vista economico, ricordandosi dei più fragili. Sempre più persone busseranno alla porta della cooperazione sociale, lo sa bene chi si occupa di inserimento lavorativo. Possiamo essere strategici perché sappiamo dare risposte vincenti alle piccole realtà del territorio, come successe durante la crisi del 2009 (le aziende vennero in alcuni casi rilevate dagli stessi dipendenti che si costituirono come cooperative, seppur non sociali). Siamo, oggi più che mai, un presidio capillare fondamentale.
Nicolas Shmidt (Commissario all’Economia Sociale dell’UE) ha detto: «L’Italia è un Paese leader in Europa per l’impresa sociale. La pandemia ha mostrato quanto dobbiamo lavorare per l’inclusione, per combattere la povertà, e per servizi sociali migliori. Durante la crisi l’economia sociale ha resistito meglio alle difficoltà: è un’economia resiliente […], ha perso meno posti di lavoro rispetto alle aziende profit e sa investire in nuove iniziative nelle nostre società. Bisogna rafforzare questo ecosistema finanziando l’economia sociale durante la ripartenza. Nei piani di ripresa nazionali i Paesi membri possono proporre di usare parte dei fondi del Recovery Fund per investire in imprese sociali […]». Come si declina questa riflessione sull’esperienza de L’Ovile?
Valerio: La cooperazione sociale ha retto meglio alla crisi, soprattutto le cooperative di inserimento lavorativo (tipo B), probabilmente perché già abituate a lavorare nella difficoltà. Per quanto riguarda L’Ovile, nei primi sei mesi dell’anno i risultati economici sono stati discreti e ci hanno permesso di mantenere i posti di lavoro, sebbene con sofferenze di alcuni settori. I fondi alla cooperazione sociale sarebbero certamente ben investiti, pensando al probabile aumento dei disoccupati nei prossimi mesi. I nostri rappresentanti nazionali (Confcooperative, Legacoop) possono farsi portavoce davanti al Governo per avanzare questa richiesta. Credo che saranno molto importanti le cooperative di tipo A (servizi alla persona) perché ci sarà più necessità di accoglienza: chi perde il lavoro, spesso purtroppo perde anche la casa e la possibilità di mantenersi, rivolgendosi alle reti del territorio in cerca di aiuto. Parlando di Reggio Emilia, la cooperazione sociale dovrebbe investire sull’housing sociale. I fondi in arrivo dall’Europa potrebbero essere usati per un serio progetto in questa direzione, recuperando le case in disuso da anni e trasformandole in luoghi di accoglienza per le fragilità nascenti. Questo bloccherebbe il consumo di suolo dettato dalla costruzione di nuovi stabili e influirebbe positivamente sull’impatto ambientale, sul decoro e l’estetica urbana.
Gabriele: Le cooperative sociali forniscono servizi essenziali (gestione dei rifiuti e delle aree verdi, servizi alla persona, pulizie industriali): ecco perché durante il lockdown siamo rimasti in piedi, sebbene a fatica e con sforzi estremi degli operatori sul campo in tutti i settori. La crisi oggi non è solo sanitaria ed economica, è già sociale, dunque ha e avrà un enorme impatto psicologico sulle persone. Ecco perché dobbiamo essere aiutati economicamente. Siamo dentro al tessuto sociale, vediamo e ascoltiamo il bisogno e a tale bisogno possiamo dare delle risposte efficaci. La sfida per noi è riuscire a dare risposte diverse rispetto al passato, vista la situazione straordinaria. È nostro dovere ripensare a come rispondiamo ai bisogni e progettare soluzioni innovative.
Piergaetano Marchetti (presidente della Fondazione Corriere della Sera) ha affermato che oltre agli aiuti economici per fronteggiare la crisi, serve un coinvolgimento progettuale del Terzo Settore nella spesa del Next Generation EU, perché si smetta di relegarlo nel cono d’ombra dell’assistenzialismo. In che modo il Terzo Settore può dare un contributo progettuale nell’indicare una modalità efficace di spesa di tali fondi?
Valerio: Purtroppo, il Terzo Settore è diventato nel tempo un braccio operativo dell’Amministrazione Pubblica e questo è un errore. Abbiamo perso capacità e autonomia progettuale dipendendo troppo dalle decisioni altrui e si sono innescate dinamiche di concorrenza non costruttiva tra le realtà del settore. Dobbiamo tornare ad essere interlocutori presenti e decisivi e non, come si suol dire, litigarci le briciole che cadono dalla tavola del ricco Epulone. Possiamo dare un vero contributo progettuale perché abbiamo sott’occhio il disagio, le fragilità, la povertà presente nelle nostre città. Per la cooperazione è necessario riacquistare un ruolo da protagonista nel dibattito con l’Ente Pubblico, ragionando ad ogni livello: locale, nazionale ed anche europeo. Una progettazione di qualità non può dipendere da decisioni e logiche non coerenti con il bisogno. Purtroppo, abbiamo perso questa capacità come settore, ma anche – mi sento di fare un’autocritica costruttiva – come cooperativa. Dunque, c’è un serio lavoro da fare in questo senso.
Gabriele: La questione è complessa. I fondi messi in campo dall’Europa arriveranno alle Pubbliche Amministrazioni (statali e locali), che spesso hanno logiche e urgenze differenti da quelle della cooperazione sociale. Si tenta sempre di collaborare, ma è complicato per tutti quando le visioni rispondono a criteri diversi. Non è detto che l’Ente Pubblico, destinatario dei fondi, abbia la nostra stessa visione su come investirli.
Eppure, il nostro sguardo è cruciale, perché abbiamo il contatto con il territorio e l’operatività. Per questo credo che il pensiero progettuale debba partire dal Pubblico, che ha la discrezionalità nella scrittura dei bandi a cui il Terzo Settore partecipa. Scrivere un bando implica conoscere i bisogni della comunità e per questo il Pubblico necessita del nostro know-how. La cooperazione sociale può essere la sentinella delle urgenze e delle problematiche del territorio, consigliare le priorità, indicare la fattibilità dei progetti ed essere di supporto.
Da parte sua, l’Ente Pubblico dovrà trovare un luogo di confronto dove collaborare con noi, per entrare in sintonia con le reali esigenze della comunità e destinare i soldi dove c’è maggiore bisogno, ovviamente nel rispetto della concorrenza.
Sappiamo che spesso le Amministrazioni non possono avere uno sguardo di medio-lungo periodo o una elevata reattività. Noi abbiamo queste caratteristiche. Abbiamo imparato dal nostro storico, sia sui servizi alla persona sia negli inserimenti lavorativi. Abbiamo vissuto la crisi del 2008 per la parte B della cooperativa, sappiamo cosa succederà perché ci è già successo e ce ne ricordiamo. Inoltre, possiamo essere molto reattivi davanti alle esigenze urgenti della comunità. Queste caratteristiche possono dare un aiuto concreto nei tempi che verranno.